Nella storia dello Sport ci sono momenti immortali che diventano icone, basti pensare che non esiste persona attempata che non ricordi con fervore l’esultanza di Tardelli quando segnò la seconda rete contro la Germania nei mondiali dell’82 o una persona di colore che non ricordi con orgoglio il pugno guantato di nero alzato e il volto chino di Tommie Smith e John Carlos sul podio delle olimpiadi del ‘68.
Tuttavia oggi non voglio
parlare delle foto più importanti del mondo dello sport, bensì di una foto mancante
a questo elenco: vi racconterò la storia di Matthias Sindelar, la carta velina
che non si piegò mai.
Nacque nel 1903 in Austria da
una famiglia povera; la suo condizione si aggravò con la morte del
padre durante la Grande Guerra.
Matthias, costretto ad aiutare la madre in una lavanderia,
dedicò il suo poco tempo libero a giocare a calcio nei vicoli di Vienna con
improponibili palloni fatti di stracci, e fu lì che qualcuno notò il suo
talento nonostante il fisico scheletrico che gli valse il nomignolo
“cartavelina”.
Nel 1921 debuttò appena diciottenne con la maglia
dell’Herta nel maggiore campionato Austriaco per poi passare nel 1925 nell’
Austria Vienna, dove contribuì a costituire una delle più forti formazione
europee con il quale vinse 5 Coppe d’Austria e 2 Mitropa Cup (l’equivalente
dell’attuale Champions League).
Nel
1926 era ormai consolidata la sua reputazione di attaccante dai piedi di
velluto, capace di seminare gli avversari con eleganza quasi danzando col
pallone, infatti debuttò come centravanti del Wunderteam (la squadra delle
meraviglie), la nazionale Austriaca che divenne una della squadre più temute
dell’epoca. Tra il 1931 e il 1934 perse solo due partite su 28 disputate e con
99 reti segnate, si presentò con fierezza ai mondiali d’Italia del ’34.
Fu in quei mondiali che Matthias subì il primo smacco da
parte del regime fascista: quella vittoria era fondamentale nella propaganda di
Mussolini, quindi il Wunderteam fu sconfitto in semifinale dai padroni di casa,
a causa di quello che molti hanno definito “un arbitraggio accomodante”.
La rivincita dell’Austria ai mondiali non arrivò mai.
Il 12 marzo 1938 Matthias si svegliò e scoprì che il suo
paese non esisteva più: l’Austria era diventata solo una provincia del grande
impero nazista.
I cambiamenti furono rapidi: Vienna venne coperta di
svastiche, e il nome dell’amata squadra di Matthias dovette cambiare da
“Austria Vienna” ad “Ostmark” (provincia orientale); anche il presidente della
squadra, di origine ebraica, fu sostituito, e a tutti i membri fu proibito
anche solo rivolgergli il saluto; Matthias non si piegò mai a queste regole e
non ebbe mai paura di esporre il suo dissenso verso il nazismo, infatti si
rivolse al suo vecchio presidente con queste parole: “Il nuovo fuhrer dell’Austria Vienna ci ha proibito di salutarla, ma
io vorrò darle sempre il buongiorno, signor Schwarz, ogni volta che avrò la
fortuna di incontrarla.”
La protesta di Matthias non terminò così: la nazionale
Austriaca avrebbe giocato un’ultima partita contro la squadra della Grande
Germania.
Molti davano già il finale per scontato, tuttavia i
nazisti si accorsero molto presto che le cose non sarebbero andate come
previsto.
L’Austria non entrò con la tradizione divisa, bensì
indossando una maglia rossa con pantaloncini bianchi, i colori della bandiera
Austriaca.
In quella partita Matthias e i suoi compagni dimostrarono
tutto l’orgoglio e la rabbia di un Paese umiliato, conseguendo una vittoria
schiacciante di due a zero con un gol e un assist di Matthias, che non si risparmiò
una sonora esultanza proprio sotto una tribuna ospitante le autorità tedesche.
Al termine della partita la procedura prevedeva che le due
squadre allineate salutassero a braccio teso le autorità presenti; e fu qui che
avrebbe dovuto esser stata scattata la foto di cui parlavo prima, poiché al
centro del campo si alzarono nel saluto romano solo 20 braccia su 22 giocatori
presenti; Matthias con il suo amico Karl Sesta, i due autori della sconfitta
della Germania, se ne stavano lì con le braccia serrate lungo i fianchi,
rischiando non solo la propria carriera, ma anche la propria vita.
A
nulla servirono le lusinghe e le minacce; Matthias si rifiutò sempre di giocare
dalla parte della Germania. Avrebbe lasciato la sua squadra solo il giorno
della propria morte, e così fu.
Il 23 gennaio 1939 la luce di Matthias Sindelar si spense,
venne trovato morto nel suo appartamento insieme alla sua compagna Camilla
Castagnola, di religione ebraica.
Le cause e le circostanze delle morti risultano poco
chiare: si sa che fu un avvelenamento da monossido di carbonio attribuito ad
una stufa difettosa, ma la frettolosità con cui il caso venne archiviato ci
fanno pensare più ad un disperato suicidio per non cedere attraverso le minacce
alla mercé dei nazisti o ad un omicidio architettato dagli stessi più che ad un
tragico incidente.
Personalmente penso che la prima ipotesi sia la più
veritiera; che, come di novelli Catone, Matthias e la sua compagna abbiano
sacrificato la propria vita in nome della libertà per cui si sono battuti; il
che, come ci ricorda Dante nella Divina Commedia, non si tratta di una vile
scappatoia, bensì di un gesto coraggioso e nobile d’animo.
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